CASO Sc.– Tribunale di M.

La sig.ra S., all’epoca dei fatti di anni 39, alla seconda gravidanza, a termine (39° settimana) dava alla luce a seguito di taglio cesareo per presentazione podalica, il piccolo F.  Successivamente alla nascita la mamma ed il piccolo venivano regolarmente dimessi.
Dopo appena due mesi il piccolo F. veniva portato al pronto soccorso per pallore ed evidente difficoltà respiratoria. Il giorno successivo al ricovero purtroppo decedeva per arresto cardiaco, con scompenso cardiocircolatorio in anemia gravissima.

Tanto il medico, quanto i sanitari della struttura, con la loro condotta imperita ed imprudente non consentivano al piccolo F. di beneficiare di una terapia che avrebbe potuto evitare lo scompenso cardiocircolatorio irreversibile. La riduzione dell’emoglobina avvenne in maniera graduale e lenta, per cui monitorando i parametri emocromocitometrici avrebbero potuto identificare prima il trend peggiorativo, intervenendo in modo adeguato.
I sig. S. – D.G., decidevano di agire contro il Dr. C. e gli Is.cl.

Il ricorso ex art. 696 bis c.p.c. si concludeva con una relazione redatta dal consulente tecnico d’ufficio nominato dal Giudice che individuava una responsabilità dei sanitari, solo parziale, nella causazione di quanto occorso al piccolo F.

Infatti, il CTU rilevava l’impossibilità di affermare o escludere, con ragionevole grado di probabilità, che il decesso fosse in nesso di concausalità con profili di malpractice medica.
In via transattiva, in considerazione di quanto individuato dal CTU,ovvero che la morte del piccolo poteva essere attribuita solo per il 50% a responsabilità dei resistenti, la struttura ed il medico offrivano una somma a titolo di risarcimento del danno. Il caso si è chiuso con un accordo stragiudiziale, per l’importo complessivo di euro 190.000.

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